Essendomi toccato di vivere per molti anni sotto un regime di moderna dittatura, vorrei ricordarne gli inconvenienti a coloro che, non avendoli conosciuti se non attraverso resoconti di Paesi più o meno lontani e strutturalmente molto diversi, si rassegnano senza darsi troppo pensiero, e magari collaborano, alla consolidazione del progressivo instaurarsi in Italia di un regime del genere, peraltro già in parte affermato in vari e non trascurabili settori dell'attività nazionale: mezzi di informazione, tempo libero, scuola, mondo del lavoro, mondo della cultura, per non elencare che i suoi inserimenti più vistosi. E' chiaro che questo organizzato processo di pietrificazione e morte delle istituzioni democratiche non è da considerarsi ancora interamente compiuto, altrimenti non potrei pubblicare questi rilievi; finché ciò riesce possibile, sarebbe stolto non fare il possibile perché continui a essere possibile.
Il maggiore inconveniente di un regime assolutista o arbitrario è l'incertezza del diritto. Ci possiamo adattare a qualunque regola comunitaria, perché la regola sia nota e, quel che più conta, ci sia nota fin dalla prima giovinezza. Per fare un esempio: se la regola comunitaria impone, per motivi che nessuno si sente in grado di discutere, che nel raggiungere la pubertà uno su dieci maschi scelti per sorteggio — o se si vuole una su dieci femmine — vengano sacrificati, la cosa è comunitariamente sopportabile, perché prevista. Insopportabile sarebbe invece, per una comunità che non ha mai conosciuto nulla del genere, che a un tratto alcuni dei suoi membri incominciassero a venir sacrificati senza norma e per capriccio. Ciò avveniva in passato soltanto in seguito a conquiste ed invasioni; ciò avviene nei tempi moderni in seguito alle rivoluzioni: le persone cresciute e allevate in un dato diritto si trovano all'improvviso sottoposte alle regole di un diritto diverso, per di più incerto. Neanche i giovinetti che nella loro ignoranza del mondo e desiderio di novità dicono di volere questo, veramente lo desiderano. Sol¬tanto i delinquenti lo desiderano, essendo ovvio per definizione l'antagonismo tra delinquenza e diritto. Da noi dicono di desiderarlo anche certi intellettuali; resta da vedere fino a che punto in qualità di delinquenti.
Nei regimi assoluti dei tempi passati, per quanto assoluti, non si è mai dato che i diritti fossero incerti; governare senza norme né regole sicure sarebbe stato impossibile persino per un imperatore romano (vedi la rapida fine di Eliogabalo) non diciamo per un semplice monarca africano. La possibilità di governare nel quasi totale arbitrio è stata resa accessibile soltanto nei tempi moderni dai progressi della tecnica. Il despota antico, per adeguare alla propria volontà arbitraria la volontà di ciascuno degli abitanti del suo regno, avrebbe dovuto tenere in ogni abitazione un suo giannizzero o mercenario armato venti quattro ore su ventiquattro, il che era chiaramente impensabile. Il despota moderno ha fatto mettere in ogni abitazione un apparecchio televisivo e il suo potere si è fatto pressoché infinito.
A rendere più completa la gendarmizzazione delle menti concorrono nei moderni regimi totalitari il cinematografo, la radio, il teatro, l’editoria, i giornali – di solito uno solo autorevole, per non sprecarsi nella ripetizione – le riviste, le università e in genere tutto ciò che vien detto la cultura, comprese le belle arti, la letteratura e le scienze umanistiche. Queste sono verità tanto note che non varrebbe la pena ripeterle se non apparisse particolarmente opportuno di rammentare agli italiani in quale grado è avanzato nel seno della loro comunità il processo in atto di presa del potere da parte delle forze totalitarie eufemisticamente autodefinite progressiste, sottolineando il fatto – evidente perfino per un allucinato - che tutte o praticamente tutte le componenti sopracitate del mondo culturale a tali forze si sono già arrese, e anzi dopo la resa, avvenuta in diversi tempi secondo il caso, gareggiano senza tema di scandalo nel lusingarle e nel dichiarare necessaria e imminente la resa delle altre componenti della vita nazionale, ancora indecise sulla via da seguire.
L’incertezza del diritto sotto il regime totalitario si esprime, nelle sue forme più scomode, nel permanente timore della delazione e dell’arrivo della polizia che viene a prelevare qualcuno di cui non si avrà poi per lungo tempo, o forse mai, notizie; nelle sue forme più quotidiane, nella possibilità sempre incombente di perdere il posto di lavoro o di studio, l’abitazione assegnata, la vicinanza di persone care che vengono spedite altrove, il permesso di trasferirsi da una città all’altra, le vacanze, gli scarsi diritti civili rimasti, perfino l’assistenza sanitaria.
Ora è paradossale che, essendo tra tutti i membri di una data popolazione gli esponenti delle attività culturali suddette i più esposti a subire l’imprevedibile punizione dell’autorità dispotica, perché latori sia pure a livello infimo di quella varietà di idee che è la merce più sospetta agli occhi di un’autorità di questo tipo, siano proprio tali esponenti i più infervorati paladini di un avvento per loro più che per gli altri pericoloso. La sola spiegazione che ci venga in mente di un paradosso simile, labile come tutte le spiegazioni di carattere psicologico, è che essi siano afflitti da uno spaventoso senso di colpa, forse per i benefici finora ricevuti dall’ingenua comunità e certamente non meritati, al punto di desiderare con altrettanto fervore l’avvento della punizione, essa sì meritata; la punizione di non poter dire mai più quel che pensano – qualcosa ancora penseranno! – di non poter viaggiare da Siena a Arezzo senza il permesso della questura, di dover vivere in uno stesso alloggio con un’abbondante famiglia di metalmeccanici – ma avrà davvero vagheggiato questo castigo anche la famiglia dei metalmeccanici – di non poter immaginare più nulla di nuovo perché tutto il nuovo è punibile, avendo già la società raggiunto il suo dichiarato massimo di perfezione; di vedere, insomma, la certezza del diritto sostituita dalla certezza dell’obbligo e viceversa l’incertezza dell’obbligo dall’incertezza del diritto.
Per il grosso della popolazione intellettualmente meno dotata l’incertezza del diritto è invece tollerabile, non appena le si spiega che proprio i suoi obblighi sono adesso i suoi diritti, saldi e certissimi: per esempio il diritto di lavorare anche di domenica, per la rivoluzione mondiale; quello di assistere alle partite di calcio, per la gloria nazionale; quello di ascoltare il telegiornale, per conoscere la parola d’ordine del giorno. E il diritto fondamentale di non dover scegliere mai più.