Wittgenstein e l'ordine costituito

Riguardo al tema dell'autorità sono sempre stato affascinato e incuriosito da una affermazione del mio maestro Ludwig Wittgenstein; la quale non si trova in nessuno dei suoi libri, dedicati a ben altri argomenti, bensì in una raccolta di lettere pubblicata da un suo amico di gioventù – e anche tradotta in italiano – seguita da una memoria o relazione dell'amico stesso, un nome ormai perduto tra le coorti incalzanti dell'esplosione demografica. In questa memoria l'amico racconta come era e che faceva Wittgenstein ventenne, già per diritto poi indiscusso la mente filosofica più potente dell'impero austriaco e forse del mondo, a Vienna e sul fronte fra il '14 e il '16, e cioè poco prima del Tractatus. E riporta, tra tanti tratti che giudica ammirevoli, una dichiarazione che per molti anni lo lascerà perplesso; ossia che per il giovane pensatore il solo atteggiamento politico concepibile era la completa sottomissione all'ordine costituito, qualunque esso fosse.

Questo appare sorprendente, non solo perché detto dal filosofo più rivoluzionario del secolo, proveniente da una delle famiglie più colte della città più rivoluzionaria del primo Novecento; una città dedita alla produzione di tutto ciò che in seguito ci avrebbe veramente sconvolti, da Freud a Hitler, da Schönberg a Webern e Kafka che da Vienna dipendeva. Peraltro chi conosce Wittgenstein sa che una simile sua dichiarazione giovanile non aveva a che fare con alcuna tendenza politica, non mascherava il presupposto che un ordine fosse meglio dell'altro, e che difendere quello costituito fosse comunque un modo di difendersi da quello che al suo posto voleva costituirsi.

La dichiarazione di Wittgenstein era un'affermazione di carattere profondamente filosofico, corrispondeva a quella parte forse fondamentale della filosofia che definisce l'atteggiamento migliore dell'uomo nella vita corrente o quotidiano, e andava intesa esattamente come era detta o scritta, indipendentemente da esempi o casi particolari.

Mai nei suoi molti scritti finora pubblicati Wittgenstein si è occupato di politica; soltanto indirettamente possiamo congetturare la sua filosofica indifferenza al riguardo. Una volta che passeggiava a Cambridge con il prof. Malcolm, allora allievo suo, videro scritto sul poster di un giornalaio che Hitler (doveva essere il '36) accusava gli inglesi di aver ordito un attentato contro la sua vita. Wittgenstein commentò: «Non mi stupirebbe che fosse vero». Malcolm, che era americano, protestò che «gli inglesi non erano capaci di una cosa simile». Wittgenstein si arrabbiò moltissimo: gli disse che «se veramente alla sua età credeva che gli uomini – o un gruppo di uomini – non fossero capaci di qualunque cosa, allora non aveva capito niente del mondo e avrebbe fatto meglio a non occuparsi di filosofia e che se così stavano le cose non voleva continuare a parlare con lui». E infatti non gli rivolse la parola per settimane. Credo che lo abbia persino accusato di parlare come un giornalista.

Peraltro è curioso che lo stesso avvertimento, in modo più cortese, fosse stato fatto al filosofo non tanti anni prima, da Bertrand Russell.

Quando, ancora giovanissimo, dopo aver scritto il Tractatus, Wittgenstein decise di ritirarsi a fare il maestro elementare in un villaggio molto elementare anch'esso dell'Austria, si era scontrato, lui giovanotto dei circoli migliori di Vienna, con la rozzezza intollerabile di quella gente di campagna, e aveva scritto al suo professore e amico di Cambridge il suo sospetto di essersi cacciato purtroppo nel luogo dove era radunata la gente più malvagia del mondo. Russell gli rispose, sempre per lettera, che se credeva che in un dato luogo la gente sia meglio o peggio di quanto non lo sia in un altro luogo, sbagliava.

Per tornare alla dichiarazione di Wittgenstein soldato sull'accettazione dell'ordine costituito, la prima cosa che si può rilevare è che essa risale al '15 o al '16; e cioè, che ha come sfondo storico l'intera storia del mondo che anche noi conosciamo, ma prima della sua parte più convulsa e velenosa, gli ultimi cinquant'anni che costituiscono quasi una storia nuova, tale da mettere in forse le regole più sicure. In queste pagine si è parlato dell'esperimento che è stato eseguito di far moltiplicare i topi in gabbia fino a un punto in cui fisiologicamente i topi non si riproducono più e si estinguono: a tutte le regole note su di noi bisogna aggiungere questa regola nuova, e ciò perché prima l'esperimento non era stato mai fatto. Quest'esperimento lo si sta facendo più con l'umanità, dal 1900 si assiste sgomenti alla sua moltiplicazione (per centomila anni si era moltiplicata a un ritmo o tasso mille volte più basso: e si aspetta sgomenti quali saranno le regole finali).

Già nel 1936 Wittgenstein non sarebbe potuto tornare in Austria, a sottomettersi, perché come in quasi tutte le famiglie dell'alta borghesia viennese, nella sua c'era una nonna ebrea; l'avrebbero ucciso. Eppure penso che per lui la sua regola rimaneva valida, e quindi dovrebbe rimanere valida anche per noi. Difatti lui non lasciò l'Austria per motivi politici, nel '29, ma perché a Cambridge lo volevano come professore. Poi accadde con l'Anschluss che i nazisti gli tolsero il passaporto, quindi dovette rimanere in Inghilterra, per quanto gli dispiacesse il Paese: non appena poteva se ne andava in Irlanda o in Norvegia. Durante la guerra fece l'infermiere al servizio della nazione che l'ospitava, e in tutto ciò era coerente. In quegli anni Borges mi diceva: «Se di fronte a una tigre ti metti a ragionare, la tigre ti divora».

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