«O Love, my love, had you loved but me!»
A. C. SWINBURNE
Foglie deserte hanno riempito l’aria;
un certo effluvio noto e penetrante
rende profondo e morbido il rumore
del vento che discende giù dagli orti,
e questo suono spento dei miei passi
sopra i vecchi sentieri trascurati.
Questa è l’ultima volta, l’ultima volta,
gentili labirinti di una villa,
che coprirete il nostro amore estinto
con rami di eucalipto e di cipresso;
in nessun altro luogo piangerò:
la mia pena sarà un vostro segreto.
Dopo divideremo le nostre anime;
oggi però che ancora sono unite,
si può discorrere per questi viali
oscurati dall’ombra delle palme.
Prima di separarci come estranei
pensiamo a questo trionfo degli anni
Prima di essere due anime sperdute
che conservano un fiore scolorito
nell’inconcluso libro della vita,
e nelle lunghe sere sedentarie
aspirano un profumo inesistente
sopra il suo testo triste, oscuramente.
Parliamo di quei giorni custoditi
dalle sculture delle gallerie
e dai primi lillà; si di quei giorni
di chiari firmamenti vellutati
dove immortale e estatico vedevo
il tuo viso che è uguale all’armonia
Che commovente era la tua bellezza,
che adesso il roseo tramonto accende!
O amore, amore, perché hai sigillato
questi occhi con un marchio di tristezza,
perché non possa più contemplarti,
cieco di luce, furente di amarti!
Perché le nostre vie non si allacciarono,
con quei solchi doppi nella sabbia
che il passo degli amanti concatena
con tratti permanenti, incancellabili?
Perché non fummo in questo mondo breve
l’unica cosa che non può cambiare?
Mai più passeggeremo nella notte
per le strade deserte e profumate,
né si uniranno le ombre prolungate
delle nostre due mani sotto gli alberi
che un vespertino fremito agitava.
Come ferisce la malinconia!
Sarebbe stato il mondo ben diverso
se tu mi avessi amato. Ormai non più
ti riconoscerai in un giardino
o nell’acqua ondulata di una fonte;
né ammirerai i giorni disuguali,
né l’orma della pioggia sui cristalli.
E io non alzerò più la faccia al cielo,
non potrò più guardarlo se non mi ami;
inutilmente si uniranno i rami
e muoveranno un ombra vacillante,
perché quell’ombra non esisterà
quando tu bacerai un altro amante.
Vedi, la sera mi offre i suoi colori
per circondare un’ultima visione
del tuo volto fra gli alberi del parco;
così ti evocherò, accanto ai fiori,
e qui, dove ti amai teneramente
nel tuo splendore resterai presente.
Ma questa mano, al sole luminosa
come il verde fogliame trasparente,
non sentirà mai più ciò che ora sente
fra le tue; neppure in una rosa
dai petali sbocciati, né in un fiume
che scorre lentamente nell’estate.
Né le mie labbra che ora si socchiudono
davanti ai ruderi del mio amore
sapranno ritrovare altra versione
di quei nostri crepuscoli inesperti,
delle conversazioni accanto a un piano
nelle notti tranquille di gennaio.
La luna morirà e rinascerà
tante volte davanti alla mia porta,
e una terrazza incontrerà deserta
dove il tuo nome tuttavia sta,
in mezzo all’edera, in un posto scuro,
scritto con la matita sopra un muro.
Si, gli amori non durano in eterno,
sono effimeri vincoli mortali;
ma noi, essenzialmente spirituali,
noi avremmo potuto liberarci
da ciò ch’è perituro, per rinascere
con uguale fervore e uguale essere.
I passi immemorabili dell’uomo
non lasceranno una traccia che il vento
non possa cancellare; ogni suo gesto
è intessuto nell’aria inafferrabile;
non resteranno le sue circostanze,
né ritratti, né voci, né timori.
Talvolta, della furia sonnolenta
dove i regni sprofondano e l’onore,
resta a stento il volto dell’amore
come un fantasma sopra la tempesta,
che nessuna materia può turbare
perché è di sua natura perdurare.
Ma tu, che in una aureola iridata
mi offri la tua bellezza primordiale,
hai scostato lo sguardo dal cristallo
dove ci avrebbero visti, riflessi,
fra tutte le rovine degli uomini
unire sopra un nastro i nostri nomi.
Tu hai rifiutato l’immortalità;
sempre sarai, accanto a quel balcone,
l’ispirazione che fra questi versi
passa all’eternità priva di nome;
e nei cicli del tempo ignoreranno
chi fosti, le persone che verranno.
Io solo, che contemplo la tua grazia
in questa sera rosa che finisce,
e che ora mi inginocchio, all’ improvviso,
come un antico amante in una statua,
come Tristano, che guardava il mare,
io solo ti vedrò senza cambiare.
Il sole è tramontato sulle case
e il sereno discende lentamente;
vieni a evocare una passione assente,
i dialoghi pausati nei giardini,
la forma delle foglie sul tuo viso.
Come se non ci separasse niente.
(Traduzione di Alfredo Novelli)